Acciaio e oro
Mentre picchietto sulla tastiera luccica al
mio polso
il Rolex acciaio e oro di mio nonno, il
fascio
suicida. Le ore vi sono quasi illeggibili.
Era allacciato al suo, di polso, quando
precipitò
nella tromba delle scale dal corrimano nero
e luttuoso come la sua fede politica:
i cui valori in definitiva, più che
crederci
con convinzione razionale, egli incarnava
per una questione di nervi, uno scatto di
umore
in fondo al suo cuore oscuro e torturato.
Sei piani di volo. Nessuno vide, però il
tonfo
quello fu avvertito in ogni interno.
All’urto nel buio sottoscala
si frantumarono i fragili congegni
dell’orologio e gli organi dell’uomo che lo
aveva indosso.
Oggi un artigiano esoso, attingendo a una
scorta
di ricambi e rotelle fuori produzione
lo ha fatto ripartire, il Rolex, me l’ha
restituito
tenendoci di persona a stringermelo al
polso
come il bracciale ad un forzato:
e mentre lavoro le sue lancette vedove
girano sul quadrante cercandovi invano
le tracce delle ore cancellate.
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