vendredi 6 janvier 2017

Magrelli

[Tre inediti]


                    1. Gabbiani, dunque

La poesia e la fogna, due problemi mai disgiunti
Eugenio Montale  
Ho fatto male a dirne tanto male
e per questo si vendicano.
Scesi dall’alto dei loro tramonti
vengono a pascolare davanti al mio portone.
Mangiano l’immondizia
l’unica pianta che cresce in città,
nella nostra città,
un rampicante che cresce già morto
e adesso nutre il popolo dei cieli.
Prendevo in giro il Kitsch:
mi ritrovo gli zombie sotto casa.


                   2. Sunt lacrimae rerum

È specialmente nel pianto
che l’anima manifesta
la sua presenza
Somiglia all’acqua
che spegne gli incendi.
Invece è l’opposto – cauterio.
Quando il dolore tracima,
allora, contro l’acqua, serve fuoco.
E il pianto è questo:
merca, marchio rovente, fumo
che sale dalla pelle a sigillare
(per quanto?) la ferita.


                   3. Ego humus

Ogni tanto mi telefona il mio amico malato.
Dovrei dire piuttosto “un” mio amico malato,
visto che non è il solo.
Ma lui è diverso dagli altri,
è “il mio amico malato”.
Da quanto lo conosco? Non ne ho idea.
È un poeta, e abbiamo letto spesso insieme.
Quando? Venti anni fa?
Facciamo pure trenta – mezza vita.
E lui, nel frattempo, ammalatosi,
ha cominciato a chiamarmi, ogni tanto.
Rispondo sempre, ovunque.
Resto a sentirlo a lungo;
resto a sentirmi a lungo.
Se lui è malato, io che cosa sono?
Perché mi cerchi?
Per ricordarmi che anch’io sono malato?
Non come te, ma quasi, dolce
mia ombra sfregiata.
                                                                               (2015)


lundi 14 mars 2016

Di Palmo

Adesso ti xe un albero, papà,
uno de quei alberi
che no gà più bisogno de niente:
basta un fià de vento
un fià de piova
per viver na vita piena de sgrìsoli,
de usignoli che se sgola

Le fogie gà la to vose
e co s'ciopa el temporal
ti te risciàri co i lampi
ti te imboressi co i toni.

Adesso ti xe un albero, papà,
uno de quei alberi che te faseva ombra
nel giardin de l'ospissio
quando mi o i me fradèi
te portavimo Zito, ingobìo,
co la carossèa, apena sta istà.
Adesso ti xe un albero, papà,
un albero grando
sensa nome
dove le seleghete va a ripararse
quando ghe xe vento
e la vita se desmèntega de la vita
e mi me desmèntego

che no ti ghe xe più.

mardi 1 décembre 2015

Laura Pugno

Di bianco in bianco                         


ritorna,
dove non c’è stagione ma solo inverno,
sceglie sul greto del fiume
la sua forma

di bianco in bianco, e a volte
lacerando
*

prende anni, poi accade,
lo vedi in questa mattina di dicembre,
guardi e guarderai,

poi la sciarpa e le braccia che gelano. Nessuno
è sceso sulle piste,
c’è nebbia fino alle forme più piccole, il disgelo
*

in calma
compi tutti i gesti,
ricordi chi hai visto nel compierli

è tanto tempo,
da tanto tempo accade,

le loro mani sono passate nelle tue, i loro capelli
*

dov’era il bianco sulle dita,
o tra le clavicole
la pelle più chiara. Andranno avanti,
si farà sera

una volta e un’altra, le notti in cucina
e tutto quello che è animale è

vivo, è vivo

mercredi 7 octobre 2015

Albinati

Acciaio e oro

Mentre picchietto sulla tastiera luccica al mio polso
il Rolex acciaio e oro di mio nonno, il fascio
suicida. Le ore vi sono quasi illeggibili.
Era allacciato al suo, di polso, quando precipitò
nella tromba delle scale dal corrimano nero
e luttuoso come la sua fede politica:
i cui valori in definitiva, più che crederci
con convinzione razionale, egli incarnava
per una questione di nervi, uno scatto di umore
in fondo al suo cuore oscuro e torturato.

Sei piani di volo. Nessuno vide, però il tonfo
quello fu avvertito in ogni interno.

All’urto nel buio sottoscala
si frantumarono i fragili congegni
dell’orologio e gli organi dell’uomo che lo aveva indosso.
Oggi un artigiano esoso, attingendo a una scorta
di ricambi e rotelle fuori produzione
lo ha fatto ripartire, il Rolex, me l’ha restituito
tenendoci di persona a stringermelo al polso
come il bracciale ad un forzato:
e mentre lavoro le sue lancette vedove
girano sul quadrante cercandovi invano

le tracce delle ore cancellate.

lundi 6 mai 2013

Eugenio De Signoribus


CAMPO H

nell’ontaneto impietrito
sotto una lana di foglie
ogni fianco è sfinito

è qui la stele bianca
bianca d’ogni altro indizio!

– Non v’ho cercato!
Non cercatemi! –
pare salga uno sdegno…

– Làsciati toccare, pietra,
sponda di penitenza!

siamo qui per un pegno,
snodo di resistenza!... – 




CAMPO K

il tuo sguardo non pare di riposo
sotto l’opaco cielo che distilla

una pena che nella mente vive
come una vena ignota e insoffocata

la coltre dei sassi grigiolividi
protegge l’imperfetto del tuo suolo

e forse non ha requie l’interdetto,
il tabù del nome, la vergogna

di non essere a posto in nessun posto
(permanente l’ingiuria di radice…)

la lettera discosta e irreparata
alla sorte dell’acqua ormai imminente

ripete che il tuo lume intermittente
va nella piega umana desolata


Soglie praghesi, 2009-2011, “Nuova Corrente” 150 - 2012, inédit en volume

lundi 5 novembre 2012

Enio Sartori


CANTO VII
Nota d’anguana (apparizione)

Nina nana nota
d'anguana, canto
che incanta
divina moina
nenia che ninola
vose de strìa
lengua rufiana
stràviame via

Sguissa dal bojo
pì sconto pì fondo
sagoma e vampa
in dansa imbriaga
oh, la voja
el morbìn
de vardarla
de tocarla
almanco ‘na volta

E la va la passa rente
e la va la passa oltra
fala cantare ma làssela ‘ndar

E la va la passa rento
e mi vo mi vo de onda
fala dansare ma làssela ‘ndar

Sbianca la luna sbianca la lana
salta ne l’aria in dansa imbriaga
l’onda scontorna in magica forma
passo felpà par fata de fià

Rit. E la va la passa rente…

E la va la passa rento
e la va la va nel vento
fala cantare ma lassela ‘ndar

Nina nana, nota d’anguana,
canto che incanta…



CANTO IX
Tiketetanda (danza)

Sbima la pora fiola
e la s’inviscia in memoria
sbiansa sgiossa e sfassa
e strassa la va de là
sguissa la siora bissa
rento la sfesa del tempo
strussia supia e schissa
e sbrissia bissa invissià
bissa la basilissa reithia ritiè
anda tiketetanda Tita Tela Tita Te
bissa la basilissa reithia ritiè
anda tiketetanda Tita Tela Tita Te

Scatija l’erba sfila e va in saliva
la bissia la se indrissa va in faliva
descalsa la va in dansa la va in piova
s’intorcola ne l’aqua e la se smola
e la va de là col vento la va ne l’aria
sirena melusina ninfa anguana

Sbima la pora fiola
e la s’inviscia in memoria
sbrissia sgiossa e sguassa
e smissia inboressà
sguissa la siora bissa
rento la sfesa del tempo
strussia supia e schissa
e sbrissia in bissa secà
bissa la basilissa reithia ritiè
anda tiketetanda Tita Tela Tita Te
bissa la basilissa reithia ritiè
anda tiketetanda Tita Tela Tita Te

Rit. Scatija l’erba sfila e va in saliva
e strupia e supia e schissa la ze
schissà e spirità

vendredi 7 septembre 2012

Graziano Graziani

Estate


D’estate qua è ’n deserto sterminato
in cui puro la Morte ce sta a stento
e je ce rode er culo pur’ ar vento,
qu’e du’ vòrte che ss’arza a ddacce fiato.

 A ’n tratto pare tutto ’n po’ ppiù bbianco
er marmo acceca, l’aria pare foco…
solo de sera se respira ’n poco
quanno che ’r sole cala rosso e stanco.

Ma poi ariva la notte: che gran cosa!
De stelle bbrilla tutto er cimmitero:
pareno bbuci sopra ’n velo nero

che ccopre ’na distesa lumminosa.
E a sta’ ccosì, de fronte all’assoluto,
t’aricordi che ’n semo che ’no sputo.



 Autunno


L’autunno te n’accorgi che è d’attorno
perché la sera dura ppiù dder giorno
e all’arberi, che pperdeno le foje,
je restano le bbraccia tutte spoje.

Ma qua ce stanno puro l’arberacci
che nun se fanno mai spojà’ li bbracci,
che pe’ ppremura o ppe’ mmalinconia
nu’ spargono le foje pe’ la via.

’Sti arberi, che svettano puntuti,
so’ ccome ’r camposanto che sse tiene
tutta la ggente che qua ddentro viene

senza più la speranza d’annà’ vvia.
Ce aricorda così, co’ sta malia,
ch’âmo da finì’ all’arberi pizzuti.





I sonetti der Corvaccio (La camera verde, 2012)